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Home » The Falcon and the Winter Soldier: i simboli che cambiano il mondo | Recensione
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The Falcon and the Winter Soldier: i simboli che cambiano il mondo | Recensione

RedazioneDi Redazione16 Luglio 2021Aggiornato:16 Luglio 2021Nessun commentoTempo di lettura: 6
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The Falcon and the Winter Soldier è la serie Marvel che non ti aspetti. Monopolizzata per settimane da WandaVision, l’attenzione di tutti i fan è stata catturata dalla promessa di un immaginario prima narrativo e poi editoriale completamente nuovo, diverso e quindi (per qualche strana equazione) migliore rispetto a quello a cui ci aveva abituato l’MCU nel passato. Sebbene il finale della serie dei due coniugi abbia diviso (per i grandi eventi è inevitabile).

Poi arriva la serie diretta da Kari Skogland e scritta da Malcolm Spellman, il primo passo dei Marvel Studios verso la televisione originariamente previsto per la Fase 4 (e poi divenuto il secondo a causa della pandemia), etichettata come una serie stile buddy movie e poco altro: un interessante intermezzo dal sapore ormai antico che avrebbe avuto il “facile” compito di sistemare l’eredità di Cap e poi lasciarci all’invece attesissima Loki.

Mai avremmo pensato di assistere a quello che poi si è rivelata essere la serie, non tanto per la logica dietro la sua scrittura, quanto per dove ha deciso di spingersi, ben oltre quello che chiunque avrebbe potuto immaginare.

Gli autori hanno ripreso le logiche narrative, le dinamiche politiche e le atmosfere quasi da thriller di Captain America: The Winter Soldier e le hanno riproposte tenendo conto che stavano raccontando una storia successiva a Captain America: Civil War, l’altro film di riferimento della serie, la pellicola che ha portato la complessità nell’MCU e che, giocando a sfaldare le premesse con cui era stata commercializzata, ha detto ai fan che non esistono più buoni o cattivi.

The Falcon and the Winter Soldier è ambientato dopo i fatti di Avengers: Endgame, ovvero appena dopo i 5 anni di buio a cui l’universo è stato costretto dal famigerato schiocco di Thanos, e dunque deve fare i conti con una realtà in completa ristrutturazione. Una realtà in cui la metà della popolazione scomparsa ora vede le proprie case occupate da chi è rimasto, i governi devono far fronte a nuove problematiche di integrazione e di coordinazione delle risorse e i simboli di speranza e unità, da sempre fonte di ispirazione, sono caduti per sempre.

Un passaggio delicatissimo, che se non gestito con la massima concentrazione può portare al chiaroscuro di cui parlava Antonio Gramsci, il chiaroscuro che affiora quando il nuovo mondo tarda a comparire. Quello dove nascono i mostri.

Ma chi sono i mostri? Sono i Flag-Smasher, terroristi con il siero del super soldato, ma anche ragazzi che cercano un posto nel mondo per il loro popolo; lo sono i figli della nuova America, addestrati per essere ciò per cui non sono nati e poi gettati in pasto alle loro ansie e alle loro inadeguatezze e lo sono anche, infine, coloro che hanno deciso di voltare le spalle a tutto ciò in cui credevano, ormai traditi, e a combattere solo per loro stessi.

In mezzo ci sono quelli con il compito più difficile: ricucire lo strappo tra le due ere. A patto che prima riescano a cucire il loro personale, poco male che lo facciano seduti sulla barca di famiglia, come nel caso di Falcon, oppure davanti alla porta del proprio vicino di casa, come in quello di Bucky Barnes (Sebastian Stan). Trovare il proprio posto nel mondo è impresa ardua per tutti.

The Falcon and the Winter Soldier trova la chiave del suo complesso affresco nello scudo di Captain America, simbolo dell’eredità del super soldato dal cuore puro (con buona pace di Zemo) per poi spingersi oltre, addentrandosi nel racconto del lato oscuro di ciò che tale simbolo rappresenta e finendo con il parlarci non solo delle paure circa quello che avverrà anche nel nostro mondo all’indomani della crisi globale, ma di una parte della propria storia che l’America continua volutamente ad ignorare e che invece torna periodicamente a riproporsi.

Una conferma, in questo anno assurdo, della tendenza dell’immaginario hollywoodiano a trattare tematiche legate a classismo e alle ingiustizie razziali.

In questo caso le idee sono particolarmente felici, soprattutto nel loro essere provocatorie, come l’ipotizzare che l’eredità del Cap possa essere raccolta dal capo di una organizzazione terroristica perché visto come “un eroe figlio di tempi moderni e consapevole di non potersi permettere il lusso dell’integrità”, o funzionali, come il collegare la vicenda del personaggio di Isaiah Bradley alla parabola di Falcon, alla cui riuscita è legato a doppio filo anche l’esito del reintegro psicologico di Bucky.

Perfetto contraltare diventa in questo contesto la storia di John Walker, il Captain America dallo scudo insanguinato chiamato nazista dai suoi nemici. Alto, biondo, con gli occhi azzurri e pieno di medaglie al valore, ma comunque sbagliato, vittima di coloro che lo hanno scelto, così come del siero (e del mito) del Superuomo, la via che conduce al suprematismo violento e ad una riscossa personale deviata, malata, errata.

Skogland e Spellman guidano una missione delicata, più di quello che si pensasse, e portano a casa una di quelle che si preannunciano essere le fondamenta della nuova realtà dell’Universo Cinematografico Marvel, tenendo insieme un passaggio complesso e conferendogli una credibilità che da sola vale la sufficienza alla serie, che ha avuto comunque i suoi bassi.

The Falcon and the Winter Soldier restituisce allo spettatore una trama macchiavellica, una morale non scontata e un’importanza dialogistica ritrovata, al netto di alcuni confronti un po’ faciloni tra chi si trova ai lati opposti della barricata, e regala almeno due combattimenti veramente coinvolgenti (uno per altitudine).

Alcune soluzioni registiche, specialmente quando non brilla la luce del sole, risultano un po’ raffazzonate e meno cinematografiche di altre, che danno un respiro globale importante all’azione e ci fanno rimpiangere una volta di più i bei tempi in cui certe scene si potevano vedere su schermi un po’ più grandi.

A proposito dei protagonisti: Anthony Mackie e Sebastian Stan rispettano assolutamente le aspettative e la loro alchimia risulta essere la chiave della leggerezza di alcune trovate, ma anche il collante che tiene unito tutto l’immaginario che gira intorno alla trama. Due protagonisti più uno, apprezzabilissimo Daniel Brühl, che riprende il suo ruolo con disinvoltura e con un percepibile divertimento. Accanto a loro torna Emily VanCamp e scopriamo Wyatt Russell, un po’ bambinesco, ma assolutamente nel ruolo, ed Erin Kellyman, la ragazza di strada elevata a capo insospettabile, innocente e spietata e con un sogno, ormai, impossibile.

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